LOVE BOMBING
Anno di produzione 2015
Scritto e diretto da Giuseppe Miale di Mauro
Con Gennaro Di Colandrea, Giuseppe Gaudino, Adriano Pantaleo,
Giovanni Serratore, Andrea Vellotti
Light Design Luigi Biondi, Giuseppe Di Lorenzo
Scenografia Carmine Guarino
Realizzazione scene Dino Balzano
Costumi Giovanna Napolitano
Grafica e foto di scena Carmine Luino
Organizzazione Carla Borrelli
Press Office Valeria Aiello
Una produzione Nest Napoli est Teatro in collaborazione con BluTeatro
Perché Love Bombing? Perché parlare di Stato Islamico, di jihad, di resistenza, di sopravvivenza?
Partiamo col dire che il collettivo Nest ha nel suo dna utilizzare il teatro come mezzo artistico per denunciare con feroce concretezza le malattie di cui è affetta la nostra società, con un occhio sempre vigile sulle problematiche universali di un mondo, geograficamente parlando, sempre più in difficoltà.
Tenta di esprimere attraverso il linguaggio teatrale, un deciso dissenso verso chi cova il desiderio di lobotomizzare la massa per indurla più facilmente al proprio tornaconto personale.
L’attenzione all’attualità, alla cronaca, alle problematiche che attanagliano il nostro spazio vitale e creativo, sono da sempre spunto di riflessione per il collettivo Nest, e molto spesso diventano gli argomenti degli spettacoli che si decide di portare in scena. Sottoporli all’attenzione di un pubblico che ha voglia di sapere, di scoprire, di riflettere, di accendere la luce su quello che troppo spesso è volontariamente tenuto al buio da altri mezzi di comunicazione, diventa per noi una mission cui tendiamo, linfa vitale che ci fa sentire in grado di toccare l’animo umano troppo spesso costretto ad assopirsi di fronte al “niente” proposto.
Ecco, la messa in scena di LOVE BOMBING va esattamente e precisamente in questa direzione, un progetto che punta il faro su quella che è la minaccia dello Stato Islamico, ma soprattutto immagina quello che potrebbe essere in futuro. Utilizzando il teatro come luogo di ragionamento e approfondimento, immaginando quello che non c’è ma che potrebbe esserci. Sperando di aver francamente toppato qualsiasi tipo di previsione.
Note di Regia
«…Finora, comunque, in base a tutto quello che si sa sull’ISIS e sulla sua capacità militare, non rischiamo la distruzione di massa. La rischieremmo se lasciassimo diventare il Califfato molto più potente di quello che è ora.»
Quando ho letto queste righe in un articolo di Stefano Magni (L’Opinione – 09/2014), pensai che sarebbe stato interessante raccontare proprio quel“rischio”. Pensai che raccontare una distruzione di massa voleva dire raccontare la degenerazione umana. A quel tempo stavo guardando la serie tv “The Walking Dead”, e mi parve interessante l’idea drammaturgica che ne veniva fuori: i morti viventi erano un pretesto per raccontare i vivi morenti.
Così ho immaginato che il mondo abbia fatto diventare il califfato molto più potente di quello che è ora, e che i Mujahideen abbiano conquistato l’occidente sterminando chiunque non fosse musulmano.
Un nuovo genocidio, e come tale, non diverso da quelli passati.
Lo stato Islamico, quindi, come pretesto per raccontare il disfacimento dell’umanità.
Ho nascosto cinque uomini in un bunker (come facevano gli ebrei) nel disperato tentativo di sopravvivenza. Creando un microcosmo in cui resiste il senso di appartenenza, di fratellanza, quel briciolo di civiltà che l’attacco islamico sembra aver sepolto insieme a tutte le teste tagliate, finché uno del gruppo riesce a catturare un Mujahideen e decide di portarlo all’interno del bunker per torturarlo e vendicarsi.
È questo l’episodio che scatenerà un conflitto tra i cinque personaggi e li costringerà a dover scegliere tra quello che erano e quello che sono diventati. Un ultimo tentativo di restare umani in un contesto apocalittico che fa perdere le identità e che trasforma gli uomini in animali. Da qui l’idea di abbassare scenograficamente il tetto del bunker costringendo gli attori a non poter assumere più una posizione eretta, come se il cerchio dell’evoluzione di Darwin si fosse chiuso su se stesso e avesse ricongiunto l’uomo alla scimmia.
C’è chi sostiene che la guerra sia insita nell’essere umano come la vita e la morte. Quella guerra che annulla ogni forma di civiltà, di umanità, e che trasforma gli uomini viventi in morti viventi.
Giuseppe Miale di Mauro